Un film decisamente spiazzante e particolare per questo “Feathers (Il capofamiglia)” dove, a seguito di un banale trucco di magia, si entra a capofitto nella dura realta’ delle donne.
Nell’era contemporanea molte donne sono ancorate al passato, ad una famiglia e cultura patriarcale, dove e’ l’uomo che decide, loro sono passive, cercano di sopravvivere come possono, ogni giorno la solita routine e niente di piu’.
Tutta la gestione familiare e’ in mano al capofamiglia… fino a quando e’ in grando di comunicare con loro.
Donne che devono poi agire, prendere la situazione in mano per cercare di risolvere i problemi, anche i piu’ piccoli disagi quotidiani, e che mettono anima e corpo in tutto cio’ che fanno.
Dall’immagine sopra riportata, dove il padre beve spesso il latte, ecco la mia immagine relativa al “cibo” o meglio, bevanda.
Ogni tanto il capofamiglia si rivolge ai figli promettendo loro di comprare un biliardo, anche se non ne hanno mai visto uno e non sanno cosa sia.
Le poche volte che parla alla moglie senza impartirle ordini in modo aggressivo, l’uomo le racconta di piccole mucche geneticamente modificate di alcuni centimetri che offrono latte di qualità superiore a quello che lei gli compra.
La parola del regista Omar El Zohairy
È la storia di un uomo che si trasforma in un pollo e ci sono prove serie e concrete che avvenga: non si tratta né di uno scherzo né di un complotto.
Attraverso tale parabola, ho voluto fotografare una parte della vita difficile che ogni normale famiglia egiziana è chiamata a condurre.
Dovendo affrontare l’assurda situazione, i componenti della famiglia dell’uomo reagiscono senza pensarci troppo. In realtà, sono come bloccati. Proprio perché sono degli antieroi, a nessuno importa di loro o dei loro problemi. Ho visto da vicino il disinteresse e dal momento in cui mi è venuta l’idea di farne un film ne sono stato completamente ossessionato.
Sono stato ispirato da molte cose e ho un profondo legame con la cultura egiziana, soprattutto con il suo patrimonio cinematografico e musicale.
Il film è costruito come una poesia, attraverso cui cerco di far sentire al pubblico l’essenza delle nostre vite. Nel dirigerlo, ho cercato di costruire un ponte tra i personaggi e noi, in modo da sentire ciò che anche loro sentono. Volevo essere il più sincero possibile con loro e con le loro paure, senza etichettarli o giudicarli”.
Un po’ qua … und ein bisschen dort